
Uno dei più grandi lasciti della cultura greca antica è stato il coraggio, la profondità, il desiderio di com-prendere, cioè il capire all’interno della complessità.
Due sono stati gli approcci: il sistema socratico e quello accademico.
Il primo consiste nel porre domande, o meglio, nel partire dalle domande – creando il problema – per arrivare alle convinzioni. È essenzialmente un approccio relazionale, pedagogico, teso cioè alla maturità dell’individuo, perché possa conoscere e abituarsi da solo a pensare (nel caso specifico “criticare”, discernere da quello che credo sia ciò che è, attraverso un percorso di confronto e di valutazione).
L’approccio accademico, invece, risulta essere un approccio “monarchico”, solitario, dove l’io pensante dona, “domina” la scienza e gli interlocutori, che semplicemente – anche se con attenzione – apprendono, “prendono da”, cioè dal maestro, quello che sanno e lo fanno proprio in base all’autorità del maestro medesimo, perché lo ha detto lui che sa, che è sapiente, che conosce tantissime cose che io non so, e per esperienza acquisita e consenso ricevuto risponde a domande esplicite o inconsce che danno soddisfazione.
Il primo sistema crea democrazia, partecipazione, protagonismo; il secondo conduce inevitabilmente al totalitarismo nelle diverse forme e archi di interpretazione, che si espandono dalle forme liberali costringenti e senza alternative (ad esempio, la libertà è la libertà degli Americani, con i loro modi di pensare e i propri valori), fino a quelle violente e invasive di controllo e militarizzazione.
L’equilibrio – come sempre – sta al centro, perché ogni persona, senza disciplina, senza sforzo o senza cultura può essere poeta, pensatore, o acquisire semplice professionalità in qualsiasi campo; né può esistere un sistema efficace di comunicazione e di benessere nel quale far vivere la nostra libertà – vera essenza dell’uomo che si esprime nella creatività – permettendo pigrizia e omologazione, che a lungo andare producono distonie sociali, comportamentali o vere e proprie ingiustizie opprimenti, sia in chi è comandato che in coloro che detengono il potere, distaccandosi ulteriormente dalla realtà e confluendo in ideologie soffocanti per mancanza di relazioni interpersonali.
In tutto questo la Religione ha un valore fondante (mai nessun grande pensatore greco ha negato l’esistenza della Divinità), perché indica all’uomo il non essere principio, ma partecipante, e quindi bisognoso di essere per la sua vita e per le sue relazioni, che lo fanno esistere con dignità e valore.