Un libro piacevole che ho divorato in poco tempo. Come genere letterario è sicuramente un diario, sotto forma epistolare. Della lettera, infatti, ha tutte le caratteristiche strutturali: luogo e data in alto a destra, intestazione a sinistra, spazio e inizio capoverso del testo; breve descrizione ambientale, ma fitta di particolari e di sfumature, poi, la storia raccontata, suggerita di volta in volta da personaggi che lei incontra, alcune riflessioni sull’argomento del racconto; segue poi l’invito all’amica di andare a trovarla nel suo ameno luogo di villeggiatura e il commiato finale.
La scrittura è lineare, semplice ma curata, come si addice ad una brava maestra, sensibile e colta.
Propongo una chiave di lettura un po’ diversa da quella strettamente letteraria: una chiave antropologica, se vogliamo, e con una mia nota personale, in quanto ero diciottenne nel 1969, anno di ambientazione dei racconti. C’era aria di un mondo nuovo, e spesso forti erano le contrapposizioni generazionali, tra chi preferiva vivere il presente ancorato ai valori del passato e chi invece aveva forte desiderio di rottura col passato e lottava per cambiamenti radicali. Io ero una liceale ed ero pendolare, stavo dalla parte dei giovani “capelloni”, portavo minigonne, ballavo il twist, ascoltavo canzoni al jukebox, ma nello stesso tempo, al Liceo D’Annunzio di Pescara, mi impegnavo per i diritti degli studenti, soprattutto pendolari, partecipavo attivamente a manifestazioni politiche sia per richieste di maggiori diritti sia per porre fine alla guerra in Vietnam, e così via. La scrittrice è riuscita con la sua sensibilità e con la sua ironia a darci gli elementi per capire l’atmosfera di quegli anni, anche se personalmente lei ha fatto la scelta del passo lento, del silenzio, delle radici, dell’ambiente naturale, che però non è visto in maniera bucolica, anzi propone un incitamento alla tutela della natura e alla valorizzazione del territorio.